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Alla Biennale



L'opinione di Frankie Hi NRG MC

C’avete presente Alberto Sordi ne “Le vacanze intelligenti”? La mia recente visita alla Biennale Arte di Venezia, evento fondamentale per l’arte e la comunicazione tutta, me ne ha restituita tutta la vividezza dell’interpretazione, la forza di un sentimento. Quest’anno, ad una manciata di ore dalla definitiva conclusione, ho deciso di andarla a visitare: due giorni alla ricerca di alcuni sporadici, troppo rari, momenti d’emozione, intervallati da quella che ai miei occhi è apparsa come l’ennesima celebrazione della fuffa, nella variante con e senza piedistallo. Premetto: non sono un esperto d’arte contemporanea e non voglio ergermi a tale; è un ambito che mi piace frequentare da spettatore, coi miei gusti, idee, preconcetti. Probabilmente sarò di palato troppo fino, perché arrivare a dieci opere/artisti memorabili è una faticata niente male, considerando i chilometri fatti attraverso una sequenza di espressioni di “tutti i futuri del mondo” (questo il tema della 56ma Biennale Arte) declinati attraverso i media più disparati, con una netta preponderanza delle video installazioni. La “video installazione” è una tipologia di espressione artistica che va molto. Consta di un videoproiettore, di un impianto audio e di una stanzina buia, con sedute o meno, in cui un corto/medio/lungo metraggio o un assortimento dei tre viene proiettato a ciclo continuo. Mi piace la video arte, ma a Venezia ce n’era un po’ troppa. Ogni panello divisorio celava un oceano di cinemini, alcuni dei quali deserti, altri non proprio profumati, riverberanti di sequenze cut up in bianco e nero, interviste a persone, diapositive di facce, altre interviste a persone, dettagli dell’acqua, molte altre interviste a persone, a volte a più persone. Una noia mortale. Che è un po’ il problema dell’arte contemporanea, quello di poter essere molto noiosa: in alcune sue espressioni richiede un grande sforzo al pubblico per poterlo emozionare, per entrare e compiere il proprio ruolo di comunicazione emozionale, per cambiare una persona.

UNA NOIA
MORTALE

Ma lavori concettuali come “The Diaries”, di Peter Friedl, 238 quaderni raccolti in pile in tre teche, nel loro essere “diari inaccessibili” sono straordinari, immediati, come le barche sospese nella nuvola di chiavi e fili rossi di Chiharu Shiota o la stanza di pannocchie di Marzia Migliora. Emozionanti nell’estetica o che comunicano un messaggio rapidamente recepibile, un impatto da metabolizzare. Ma la maggior parte del resto è noioso, il padiglione italiano sembrava un cimitero durante un black-out, una sequela di ossicini, rametti, conchiglie e per ogni artista significano una cosa diversa, ma sono drammaticamente simili, ugualmente rarefatti, tanto da far pensare che non ci sia stato poi tutto questo sforzo creativo, visto che il maggior impegno è richiesto allo spettatore. Ed il paravento del “concettuale” inevitabilmente lascia intravedere il nucleo centrale e pulsante di molte opere: il pippone mentale dell’artista, del curatore, del critico, etc.. a scalare, tutti furiosamente a caccia di linguaggi incomprensibili, di complicazioni inestricabili. So come funziona il pippone mentale: io stesso ho promesso di non scrivere mai più frasi come “…adamantino cenobita o suppliziante pentito…”, perché una volta va bene, ma il troppo stroppia. E davanti a questa babele di pezzi di idee sostenuti da sintassi leziosamente contratte e criptiche, l’immagine di Sordi mi è apparsa vicina, sincera ed amica.
“Non sò sculture, sò pecore. Artro che cazzi: sò pecore”.

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