QUOTIDIANO FONDATO NEL 1994

L’unica guerra che non vedevo l’ora di combattere



di Roy Paci

Parto dal presupposto che a questo punto della mia carriera di collaborazioni inizio a contarne davvero tante, tantissime direi, ognuna di loro ha una sua storia, è nata in particolari circostanze. Non posso fare a meno di sottolineare, non perché sono ospite di queste sue “pagine virtuali”, che quando un rapporto va al di là della musica – come quello che c’è tra me e Daniele – le collaborazioni diventano quasi suggestive perché quello che ci metti dentro non è solo musica.
Così l’invito di Daniele è stato un po’ come l’arrivo in cima, in cima a una grande intesa, soprattutto umana, ne sono stato felice ma forse non del tutto stupito. Stava realizzando un disco molto particolare, e nella ricerca di qualcosa di “strano” credo che abbia riconosciuto in me il musicista poliedrico che poteva fare al caso suo, Acrobati suona infatti in molti modi diversi nonostante i brani riescano a mantenere un trait d’union fra loro, davvero un lavoro di grande equilibrio, è proprio il caso di dire che mai titolo fu più appropriato.
Ricordo distintamente la mia prima reazione all’ascolto de La guerra del sale, è stato qualcosa tipo: “Wow! Daniele ha fatto veramente un pezzo hard core!”. trioPerché, che lui sia fuori da ogni accademia è fuor di dubbio, ma questo pezzo suonava davvero hard core, una delle cose che più mi piacciono e non nascondo di essermi – neanche tanto metaforicamente – sfregato le mani, il panorama che mi si dispiegava davanti era oltre ogni più rosea previsione.
Ho approcciato il brano da un punto di vista più ritmico, che è poi il mio modo di operare all’interno degli arrangiamenti e quando ho pensato a come realizzare qualcosa che si legasse al magma sonoro del pezzo ho ritenuto che sperimentare fosse la strada migliore, anche sui suoni stessi: ci sono sovrapposizioni, cluster veri e propri all’interno dei quali faccio scorrere delle note glissate dei tromboni (apro una parentesi per un elogio al talento di Mauro Ottolini che quei tromboni li ha suonati), e poi c’è questa esplosione di melodie, delle quali la principale ha un arrangiamento con delle note al limite della dissonanza tra di loro, che però stanno benissimo perché anche la struttura armonica del pezzo è molto aperta, quasi modale. E poi insomma… “eravamo in tre”! Sapere che a un certo punto avrebbe attaccato Caparezza mi dava la certezza che la chiave da ricercare era quella dell’insolito.
La connessione fra i tre, a vederla, è quella tra persone che si conoscono, che si stanno simpatiche, che si divertono, ma bisogna anche considerare che i tre mondi che si incontrano sono abbastanza diversi tra loro, ognuno ha una propria identità specifica, stare in tre su quel filo teso è stata senza dubbio un’altra bella acrobazia per la quale mi sento di ringraziare sia Daniele che Michele.

Al netto delle differenze artistiche, delle identità di ognuno, quel che di magico c’è da sottolineare è che in quel momento stavamo facendo qualcosa per Daniele, un po’ come essere invitati a una cena per la quale ognuno di noi avrebbe dovuto preparare qualcosa, senza – ovviamente – dimenticarsi del sale!

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