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Ussita: così ricordo la mia “piccola Svizzera” distrutta dal sisma



di Michela Rossetti

Due ore e mezzo in macchina da Roma. Ussita è lì. Superi Terni e improvvisamente ti rilassi. Perché da lì inizia la Valnerina. Cominci con la cascata della Marmore, tra le più alte d’Europa. Poi una strada bellissima, una delle preferite – non a caso – dai motociclisti. Due corsie, curve, verde ai lati, le montagne davanti, l’esplosione dei colori.
Il padre di mio nonno è nato qui. Mia madre negli anni ’50 ci metteva 7 ore per arrivare, perché la strada non era asfaltata. Il padre di mio nonno è nato a Ussita. Noi lì abbiamo casa e lì abbiamo passato ogni estate e quasi tutti gli inverni.
Ussita la conosco prima che dai miei ricordi, da quelli di famiglia.
Lì si scia: sul filo della memoria. La “Piccola Svizzera”, mi hanno ripetuto per anni con quell’orgoglio delle origini. Perché lì si scia. Per raggiungere la seggiovia di Frontignano, sono 15 minuti. Piste facili, tranne una: il canalone, ripidissimo. Che ho fatto solo in estate, a piedi.
Ussita è piccola: una piazza principale con il bar centrale dove si vendono giornali, libri e fumetti; la chiesa, ovviamente, con le sue processioni.
Due parchi, il cinema (aperto solo a luglio e agosto). C’è il ferramenta, dove trovare anche i giochi per i bambini. Due parchi (in uno c’è il minigolf), il cinema (aperto solo luglio e agosto), la farmacia e il tabacchi, dove puoi comprare anche il bagnoschiuma. C’è la sede del Comune e una strada che collega le frazioni più piccole: Pieve, Vallazza, Tempori, e le altre. È ai piedi del Bove. Un monte che al tramonto si tinge di rosa, completamente.
“Ma che fai per tre mesi a Ussita”? Mi chiedevano i miei amici di città quando eravamo al liceo. Facile: passavamo luglio e agosto tra ping pong e biliardino, tra una sala giochi (da qualche anno non c’è più) e i tavoli del parco Ruggeri a giocare a carte.
Andavamo a Visso, che è a quattro chilometri e mezzo di distanza, uno dei Borghi più belli d’Italia e Bandiera Arancione certificata dal Touring Club Italiano (questo quando andavo al liceo non lo sapevo). Lì c’è “Il Laghetto”, punto di ritrovo dei giovani del posto.
E il bar Sibilla (tra i più fotografati adesso con il terremoto, la casa sopra è crollata). Tra i più fotografati anche in ogni mia estate, dato che fanno paste e cioccolate eccezionali. C’è il lago, vicino Ussita, artificiale e suggestivo. È a Fiastra, mezz’ora di macchina, circondato da montagne. Con il tempo giusto l’acqua diventa verde e azzurra, come gli alberi e il cielo che lo circondano. Ci si arriva passando per il santuario di Macereto (che ha resistito alle scosse più forti, la meta preferita per i pic nic dei turisti) e Cupi (tra le mie, di mete preferite, dato che ci sono due agriturismi eccezionali).
Dalle foto di questi giorni non si vede e forse non si sa, ma Ussita è anche un posto per chi ama lo sport: ci sono campi da calcio e tennis; e c’è un grande palaghiaccio, una pista per pattinare omologata per le gare di hockey. C’è anche una piscina, coperta, e un solarium per prendere il sole fuori. C’è un maneggio, dove quest’estate le mie nipoti sono andate per la prima volta a cavallo. E la bici, quello sì. Avevamo tutti la bici. Il mio edicolante di Roma, che è uno appassionato da anni, quest’estate si è fatto un giro al Fargno passando per il lago di Fiastra. C’è stato una sola volta e si è innamorato. Mi ha chiamato (mai fatto in 15 anni che lo conosco) dopo il terremoto per avere notizie del posto. A Ussita si mangia, anche. Nel senso che si mangia bene. Ci sono i pastori, le capre e le vacche, circondati dagli immancabili maremmani.
C’è la ricotta appena fatta da mettere nel caffè e c’è il ciauscolo, un insaccato morbido, da spalmare, realizzato con la carne di maiale. C’è l’amaro Sibilla, fatto con le erbe e imprescindibile in ogni tavola.
La montagna e le passeggiate, che con Ussita si pronunciano in una parola sola, tutto attaccato, per me sono arrivate con l’età della ragione.
Ussita è nel parco nazionale dei Sibillini. Se ne possono fare tante. La più gettonata – e più difficile – è il lago di Pilato. E’ un posto unico al mondo, diciamo noi. Ma è scritto anche nelle guide, certificato. È uno dei pochissimi laghi glaciali dell’Appennino. Lì c’è quello che chiamiamo “il gamberetto della preistoria”, non ce ne sono altri al mondo. Il nome tecnico è “chirocefalo del Marchesoni”, un crostaceo primitivo sopravvissuto fino ad oggi. Per arrivare al lago di Pilato noi partiamo da Castelluccio.
Prima del terremoto era famoso per le lenticchie, per una scuola di parapendio dove lavorano dei ragazzi simpaticissimi e per la fioritura. Si chiama proprio così: fioritura. Tra giugno e luglio, i campi di lenticchie che circondano Castelluccio fioriscono e si colorano di rosso, di viola, di azzurro. Ci sono papaveri, violette, narcisi. Chi viene è folgorato. I fotografi, per primi. Quest’estate è andato lì Angelo, che è di Calitri (Irpinia). Che fosse andato lì l’ho saputo dalle sue foto su Facebook. I miei amici di Roma, ogni volta che li porto, ci vogliono tornare. Tutti. Anche la cinica che: “A me la natura mi fa schifo”.
Poi ci sono le passeggiate più tranquille. Da Ussita in 10 minuti di macchina si arriva a Casali, che è una sua frazione. Una manciata di case, una chiesta che ha resistito al terremoto (è crollata la parte più nuova, mi dicono), la quercia di fronte dove trovi sempre i vecchietti.
A Casali c’è la nonna di Claudia ed Elena, che mi ha raccontato di quando lavorava ai campi e non c’era da mangiare e bevevano il the per darsi energia. Da lì vedi monte Bove da una posizione bellissima. Lo chiamano la “perla dei Sibillini”. È un nome perfetto, che gli si addice.
Da Casali (1.099 metri) attraversi val di Panico a piedi e puoi raggiungere il rifugio del Fargno (1.820 metri, non è una “passeggiata”, nonostante i miei amici del posto la facciamo senza un filo di fiatone). All’esterno sembra un bunker, ma dentro è tutto di legno e dalle finestre vedi quasi sempre i falchi, mangiando una pasta con le erbe eccezionale.

“VEDRAI CHE TORNEREMO PRESTO AD ESSERE VICINI DI CASA”

Dal Fargno puoi fare le creste: Pizzo Berro (2.260 m), Pizzo Tre Vescovi (2.092m) o il Monte Priora, chiamato anche “La regina” (2.332 m). Sono vette imponenti, che “nulla hanno da invidiare alle Alpi”, mi disse un turista di Milano che era lì per la prima volta.
Le passeggiate più belle le ho fatte lì. Camminavo davanti a tutti, perché il passo lo dà quello più lento. Ci siamo anche persi, una volta. Siamo stati 10 ore in montagna, scendendo ustionati. Il mio cane il giorno dopo non è voluto uscire di casa. La mamma di Claudia, dal bancone del bar centrale di Ussita, l’anno dopo mi ha detto: “Ma ancora? Ancora vai in montagna con questi pazzi”? Sì sono pazzi, e mi hanno regalato i momenti più belli.
I pazzi mi hanno insegnato ad andare in montagna, a portarmi la maglietta di ricambio perché quando arrivi in vetta sei sudato, a portarmi la cioccolata. Uno dei pazzi, domenica notte, dopo il terremoto più forte, mi ha detto: “Vedrai che torneremo presto a essere vicini di casa”.
Mi consola lui. Lui consola me. Sei pazzo, Simone, sei davvero pazzo. E come Simone è pazza Virginia, che mercoledì notte, quella della prima scossa, mentre i genitori cercavano di uscire da Visso e non ci riuscivano perché le strade erano bloccate, ha trovato il tempo di richiamarmi e dirmi che stavano bene.
È pazza Claudia, che ora è con la famiglia in un hotel della costa e mi ha detto: “Ussita è al mare, siamo tutti al mare”, trovando il coraggio di ridere. È pazza Laura, che ha festeggiato il compleanno del padre – credo il primo senza Ussita – con la torta, perché: “Noi ricominciamo dalle piccole cose. E lo facciamo insieme. Dove non ha importanza”. Voi siete tutti pazzi, e siete i pazzi di cui l’Italia non può fare a meno.

Un ringraziamento al sito www.consumatrici.it che ci ha concesso di pubblicare l’articolo.

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